I Vescovi del Triveneto hanno concelebrato in Basilica a Venezia una Messa in occasione del centenario della nascita di Albino Luciani.
“Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21,17) è la risposta di Pietro a Gesù che gli aveva domandato se Lo amava più degli altri. Queste parole – “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”- ci pare d’ascoltarle, segnate dalla caratteristica dolce cadenza veneta, sulle labbra di Albino Luciani che, seppure per soli trentatré giorni, fu il successore dell’Apostolo Pietro, col nome di Giovanni Paolo I.
Non è facile tratteggiare il profilo di una persona chiamata a svolgere il ministero ecclesiale – prima come vescovo e poi come papa – in un periodo tempestoso come furono gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Il Vescovo Luciani, a Venezia, fu chiamato ad affrontare questioni delicate riguardanti la vita ecclesiale e civile, che da tempo covavano come fuoco sotto la cenere.
Ma chi era questo figlio della terra veneta che divenne patriarca di Venezia e Sommo Pontefice della Chiesa cattolica? Albino Luciani fu un sincero e onesto lavoratore della vigna del Signore, uomo profondamente obbediente a Dio e al Suo progetto, chiamato a compiti e decisioni davvero ardue.
Del resto, annunziare il Vangelo senza rinnegarlo, stare di fronte al mondo senza temerlo e senza scendere a compromessi, presiedere a una comunità cristiana ferita nella comunione, senza cedere alla tentazione di conquistarsi una facile notorietà, significa caricarsi della propria parte di sofferenza.
A Venezia il ricordo del patriarca Luciani è ancora vivo nel popolo di Dio e, col passare del tempo, l’affetto si unisce alla crescente stima per la sua santità: è quanto, con piacere, ho potuto constatare di persona fino ad ora. Nel suo messaggio d’inizio pontificato, uno dei suoi ultimi discorsi, Giovanni Paolo I esprime in modo compiuto il suo pensiero sulla Chiesa vista come corpo vivo, come realtà comunionale ed evangelizzatrice, offrendoci una sintesi di teologia, di spiritualità e di pastorale. La data del 27 agosto 1978 – giorno successivo all’elezione – segna tanto l’inizio del ministero petrino quanto l’ultimo tratto della sua vita terrena.
Il passo a cui mi riferisco è preso dal messaggio urbi et orbi, il discorso con cui il Pontefice si rivolge alla città e al mondo. In esso vi troviamo: il pensiero di Luciani sulla Chiesa, la sua consapevolezza d’esserne Sommo Pontefice e il senso della missione a cui non può sottrarsi.
Propongo il punto in cui Egli si riferisce alla situazione della Chiesa. Siamo nei agitati anni Settanta e Luciani s’esprime in questi termini: “Chiamiamo anzitutto i figli della Chiesa a prendere coscienza sempre maggiore della loro responsabilità… Superando le tensioni interne, che qua e là si sono potute creare, vincendo le tentazioni dell’uniformarsi ai gusti e ai consumi del mondo, come ai titillamenti del facile applauso, uniti nell’unico vincolo dell’amore che deve informare la vita intima della Chiesa come anche le forme esterne della sua disciplina, i fedeli – sottolineava infine – devono essere pronti a dare testimonianza della propria fede davanti al mondo”(Messaggio urbi et orbi, 27 agosto 1978).
Egli parla agli uomini e alle donne di Chiesa chiamandoli, semplicemente, figli e insieme domanda di prendere coscienza della loro responsabilità e superare, così, le tensioni interne ponendoli in guardia dalla tentazione di uniformarsi al mondo, non ricercando il facile applauso ed esortandoli con forza affinché diano reale testimonianza della propria fede davanti al mondo. Il fermo richiamo a prendere le distanze dalla tentazione d’uniformarsi al mondo spiega quello che fu il suo costante stile di prete, di vescovo e, possiamo dire, di Sommo Pontefice.
Siamo di fronte non a un generico appello all’unità ma all’effettiva comunione ecclesiale costruita attorno a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E non ci si stanca di proporre scelte evangeliche, prendendo le distanze da mediazioni che svuotano il Vangelo e portano il cristiano ad essere il “notaio” di quanto, di volta in volta, gli viene proposto. Ma così facendo si svuota il buon annuncio del Vangelo: le fatiche e le fragilità degli uomini infatti, da sole, non sono ancora la croce di Cristo. Certo, il tessuto ultimo della realtà – cosmologico e antropologico – è Gesù Cristo, l’unico che può dar senso e valore ad ogni cosa, incominciando dalla realtà umana, portandola al suo compimento; questo è il senso del capitolo 25 del Vangelo di Matteo.
Ritornando al messaggio d’inizio pontificato, non si può non evidenziare l’appello alla responsabilità, la volontà di conversione, superando le tensioni interne alla Chiesa e, attraverso la vigilanza, l’impegno a resistere alla tentazione di uniformarsi al mondo.
Per quanto riguarda la breve ma densa apparizione di Luciani sulla cattedra di Pietro – tra l’agosto e il settembre del 1978 – mi limito a due osservazioni.
Nella vita degli uomini si danno avvenimenti che, per differenti motivi, non siamo in grado di comprendere pienamente; avvenimenti che, in parte o del tutto, ci sfuggono e, per questo, ci paiono privi di senso. Dinanzi a tali fatti rimaniamo incuriositi e confusi. Gli avvenimenti, per essere intesi, chiedono tempo; essi coinvolgono persone e comunità e formano una “storia comune” che domanda d’esser condivisa e approfondita.
A livello ecclesiale, il ministero petrino è uno degli eventi più significativi. Il legame che unisce il Papa – vescovo di Roma – e la Chiesa si fonda su una paternità riconosciuta che, per essere percepita e vissuta, chiede conoscenza, vicinanza, affetto. Perché questo avvenga, è necessario il tempo.
Quando gli eventi capitano in modo repentino risultano di difficile comprensione e ci paiono privi di senso. Così la vicenda di Albino Luciani/Giovanni Paolo I, a ragione, ci interpella: che senso può avere un pontificato così breve? Un Papa per sole 792 ore? Sì, perché trentatré giorni, ossia 792 ore, sono il brevissimo tempo durante il quale Albino Luciani fu papa.
L’uomo è un essere storico e, quindi, risulta incomprensibile se si prescinde dal tempo; il tempo, per l’uomo, è qualcosa d’essenziale. Un tempo che sia troppo breve finisce per non essere neanche percepito, diventa insignificante proprio per la sua brevità.
Ma – e questo è il punto da evidenziare – gli avvenimenti non ricevono senso solo dalla durata; essi hanno significato per ciò che rappresentano in se stessi e per la forza con cui sono capaci di generare futuro. Avvenimenti improvvisi, quindi, possono produrre novità sostanziali mentre avvenimenti di lunga durata non è detto che riescano a generare novità.
Talvolta si sente dire che dopo un evento breve, ma carico di significato, le cose non sono state più come prima; vi sono i terremoti e gli tsunami fisici ma anche quelli intellettuali e spirituali. Consideriamo, secondo tale logica, quanto è accaduto nell’irripetibile anno 1978 in cui, a poche settimane di distanza, si diedero due conclavi. Ora, senza gli esiti del primo, quello di agosto, non si sarebbe giunti, in ottobre, all’elezione dell’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyla.
La storia non è connotata unicamente dalla dimensione temporale degli eventi in quanto eventi storici brevi o brevissimi – come detto – possono influire più di eventi prolungati che incidono poco o nulla sugli avvenimenti successivi. Nella storia tutto è saldamente nelle mani di Dio ma la libertà degli uomini svolge un ruolo essenziale. Dio, comunque, interloquisce sempre con l’uomo, ne rispetta la libertà ed anzi l’esalta.
Ora, pensare che dopo 455 anni un non italiano potesse salire al soglio di Pietro, senza difficoltà, non era realistico. Così l’elezione di un cardinale italiano estraneo alla curia – che governò la Chiesa per un tempo brevissimo – fu, certamente, un evento dirompente: il classico “sasso” gettato nello stagno.
In tal modo ritornare in conclave nell’ottobre successivo – per la seconda volta in quell’anno e a meno di due mesi dalla precedente convocazione – fu cosa del tutto imprevista e i cardinali furono chiamati a dar risposta ad una situazione imprevedibile.
Gli avvenimenti si consolidano col passare del tempo. La storia narra che il vescovo di Roma, da oltre quattro secoli, era italiano. Un tale fatto – ovviamente contingente – è l’esito di scelte umane: non poteva, però, superarsi senza difficoltà.
Al pontificato di Paolo VI – il cardinale italiano Giovanni Battista Montini che, per oltre trent’anni, era stato a servizio della Curia romana -, faceva seguito il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, il cardinale italiano Albino Luciani, uomo del tutto estraneo alla Curia, e all’inizio non certamente tra i più accreditati candidati alla successione di Paolo VI.
Il pontificato di Giovanni Paolo I, anomalo per la brevità, va considerato proprio per tale fatto un inizio, un’antifona che, nella continuità della storia della Chiesa, segna una vera ripartenza. Con l’elezione a Papa del patriarca di Venezia, nato a Canale d’Agordo, mai uscito – se non per qualche breve viaggio – dal natio Veneto e privo di ogni dimestichezza con la Curia, veniva “azzerato” – per così dire – uno schema che, agli occhi di molti, era ritenuto insuperabile.
Il prete e teologo fiorentino Divo Barsotti fu vicino ad Albino Luciani in circostanze difficili del suo episcopato, come nell’aprile del 1974. In tale circostanza don Barsotti non mancò di significare al patriarca la sua personale stima e ammirazione con queste parole: “Non posso tacerle quanto mi hanno confortato il suo atto e la sua fede. Solo una serena fermezza può ridonare al popolo di Dio fiducia nei suoi vescovi… Forse ella dovrà soffrire perché troppo si è lasciato correre, ma Dio certamente è con lei e in Lui nulla potrà minacciare la sua pace” (Archivio Barsotti, lettera 23 aprile 1974)
Ed è lo stesso don Barsotti che prova a spiegare il significato di un pontificato istantaneo – quasi un battito d’ali – esprimendosi con queste parole: “In un mese egli ha conquistato il popolo cristiano, l’umanità tutta. Non ha conquistato solo coloro che vivono un rifiuto a Cristo, che vivono già una volontà di rifiuto nell’odio e nella menzogna… Quest’uomo è stato con noi soltanto per rivelarci la semplicità di Dio. Egli ha vissuto il suo pontificato… questa lezione vale più di tante lezioni teologiche” (Omelia in suffragio di Giovanni Paolo I).
Don Barsotti muove da una ferma prospettiva teologica – “Quest’uomo è stato con noi soltanto per rivelarci la semplicità di Dio ” -, volendo dar ragione di una fugacità anomala secondo i comuni parametri degli uomini.
Per taluni Albino Luciani sarebbe stato, alla fine, un ingenuo e un semplice, un intransigente e una persona non all’altezza, non in grado di dire no ad un peso per lui eccessivo.
Igino Giordani, che firma la prefazione al best-seller “Illustrissimi. Lettere ai grandi del passato”, ci aiuta a mettere a fuoco la personalità e le doti umane e sacerdotali di Albino Luciani. In Giovanni Paolo I, come in altri casi, l’umiltà e l’obbedienza vissute personalmente – e solo dopo richieste agli altri -, il sincero amore a Cristo e alla Chiesa, evidenziano l’animus della persona e delle persone che entrano in dialogo con essa.
La prefazione a Illustrissimi, che Igino Giordani firmò il 10 gennaio 1976, va letta nella sua integrità. Da essa risulta un’immagine viva di Luciani in cui appare la libertà dell’uomo e del pastore anche di fronte al rischio dell’impopolarità. Egli sempre s’impegnò in un annuncio evangelico compiuto nella Chiesa e a nome della Chiesa, senza timori e calcoli umani: questa è la fortezza degli umili!
Riprendo, di seguito, un altro pensiero che, bene esprime quanto a Venezia la gente ricorda di lui e che bene delinea la sua grande umanità e il suo stile sacerdotale: “…il cardinale scende dal soglio e penetra nella massa, partecipando alla vita comune; e così mentre realizza la vocazione del Concilio Vaticano II, rivive, senza orpelli, il contegno di Gesù stesso…il patriarca semina germi di spiritualità sui piani del materialismo, sgonfia le ideologie tumefatte in vari ambienti sociologici, politici, dogmatici. E’ un magistero nuovo, attraente, suadente fatto per tutti, dotti e indotti, vicini e lontani… “ (Illustrissimi, prefazione, p. 7).
Infine, poche pagine dopo Igino Giordani continua: “… il cardinale Luciani risulta così un nemico della noia: un amico della gioia. La sua è una cultura ispirata dal Vangelo, dalla Chiesa, di cui applica l’universalità dei doveri del cristiano; una universalità che lo induce ad aprirsi a tutto il mondo razionale dentro e fuori del cristianesimo…” (Illustrissimi, prefazione, p.11).